Barbara ha 4o anni ed è una piccola imprenditrice di Bologna. 9 anni fa ha scoperto di avere il linfoma di Hodgkin, una forma tumorale che prende il nome dal suo scopritore. Si sottopone quindi alle cure tradizionali, fa 4 cicli di chemioterapia ma non ci sono miglioramenti, anzi, la malattia ritorna più aggressiva. L’alternativa restava solo più il trapianto del midollo osseo ma senza nessuna garanzia. La donna non vuole rischiare, non se la sente di “farsi ridurre a zero le difese immunitarie e di assumere grandi quantità di antibiotici”.
Decide quindi di provare con il metodo Di Bella. Inizia a migliorare, a stare meglio fino a guarire completamente. Per pagarsi le cure l’hanno aiutata gli amici che, per lei, hanno addirittura organizzato dei tornei di calcio per raccogliere fondi. Barbara stava finalmente bene. Decide quindi, d’accordo con gli avvocati che l’assistono di fare causa alla Ausl per ottenere il rimborso.
Nel 2004 ottiene un decreto d’urgenza e nel 2006 la conferma della sentenza: l’Ausl deve pagare, anche perché Barbara, all’epoca, non aveva il reddito per sostenere quelle spese. Ci sono anche le perizie di un gruppo di oncologici a rinsaldare la decisione dei giudici, ma l’Ausl impugna la sentenza e, pochi giorni fa, ottiene un verdetto completamente ribaltato in Appello. I giudici decidono che deve restituire i soldi delle terapie: 41 mila 178 euro. Perchè la sua malattia ”non si poteva curare” come ha fatto lei e cioè con il metodo Di Bella.
La motivazione: “Una sperimentazione ministeriale stabilì che era inefficace”. Poi poche righe più sotto si legge che “la malattia di Barbara non era fra quelle oggetto di sperimentazione nel 1998″ (la cura Di Bella non venne testata sul suo tipo di linfoma, ma su un altro).
L’amarezza della donna: «La gioia per essere guarita è devastata dall’amarezza per il nostro sistema burocratico e giudiziario. Mi sono ammalata nel 2003 e mi sottoposi a quattro cicli di chemioterapia. Fu tutto inutile, e non volevo rischiare con un trapianto. Così optai per la cura Di Bella».
Ora farà ricorso in Cassazione e si rivolgerà alla Corte europea dei diritti dell’uomo: «E’ ingiusto questo sistema che ti obbliga a pagare se guarisci: ho la colpa di essere guarita? Non è uno Stato quello che ti impedisce di curarti». Poi si domanda: «E se non mi fossi curata con la terapia Di Bella? Non so dove sarei ora. Tra l’altro l’Ausl avrebbe pagato molto di più per le cure tradizionali».